Una foto della band dal vivo ©The Kurland Agency

Geografie musicali/ Red Baraat/ Un crocevia sonoro esplosivo

Se nel primo articolo di Geografie musicali siamo andati a cercare qualcosa di completamente specifico e inusuale, anche collocato in un preciso territorio, stavolta andiamo a puntare il dito oltreoceano, ma in un posto che non immagineremmo: Brooklyn, incrocio di musicisti, di popoli e di culture.

Cosa andiamo a fare nel cuore della Grande Mela? Ci andiamo perché come tutte le grandi città è un crocevia dove un giorno del 2008 Sunny Jain, suonatore del dhol indiano, il tamburo che vedete spesso tenuto a due mani e che compare in moltissima musica moderna, ha deciso di mettere insieme un ensemble di jazzisti provenienti da diverse scuole e culture per fondare i Red Baraat, un gruppo di musica che definire meticcia è ben poco. Jain è considerato infatti una delle voci più grosse del movimento jazz composto dai figli delle migrazioni della seconda metà del Novecento americano. Dobbiamo però dimenticarci il jazz ordinato e da gustare seduti a un tavolo: alla base delle note di questo supergruppo c’è il bhangra, un musica da ballare di origine contadina che proviene dal Punjab pakistano e dall’india.

Trattandosi di una musica puramente a percussioni, suonata dai contadini quando arriva la primavera, Sunny Jain ha deciso di aggiungerci tutta la melodia possibile e immaginabile. E quindi ottoni, chitarre elettriche, reggae, ska, funky e chi più ne ha più ne metta. Non a caso nella formazione hanno girato anche nome importantissimi del jazz come il batterista Thomas Fujiwara e il sassofonista Johanthon Haffner.

Sempre non a caso i Red Baraat hanno suonato nei maggiori festival jazz di tutto il mondo e nel 2010 sono stati premiati con il loro debut, Chaal Baby, come miglior ensemble di world music dal The Boston Globe. E se il termine world music sta a significare una musica estremamente ricca, sfaccettata e piena di citazioni sonore a diversi popoli della Terra, il complesso del percussionista di origini indiane potrebbe essere tranquillamente indicato come uno degli enfant prodige degli ultimi anni.

Bhangra Pirates, il loro disco del 2017, è senza ombra di dubbio il primo da ascoltare per conoscere la musica della band. In questi 70 minuti di musica veniamo letteralmente travolti da una sarabanda di suoni vari, vivaci e mai banali. Se vi piace la fusion o un altro dei generi scritti nel paragrafo precedente non potrete che saltare nel salotto di casa vostra o darvi lo sprint se siete a fare una corsa (in sicurezza) da qualche parte. Il gruppo mette le cose in chiaro sin da subito con Horizon Line, un’esplosione di trombe e percussioni che richiama anche la musica balcanica, con degli assoli fenomenali che vi accompagneranno per tutto l’album, bellissimo sino alla fine. La prima parte del disco, in particolare, è una scarica di adrenalina un pezzo dopo l’altro, almeno fino alla divertentissima cover del classico pop indiano Tunak Tunak Tun, per non parlare della citazione alla canzoncina per bambini You are a pirate nella traccia che prende il nome dal disco.

Nella seconda parte dell’album c’è un generale rilassamento, ma pur sempre ricco di suoni e colori da tutto il mondo, che denota non solo le incredibili capacità dei musicisti che suonano su questo disco, ma anche la loro multiculturalità e la loro capacità di attingere da moltissimi stili diversi amalgamandoli perfettamente. La cosa forse più bella di questo disco è proprio la capacità espressa all’ennesima potenza dalla band di poter prendere qualsiasi cosa e farla propria, preparando i timpani dell’ascoltatore a una improvvisa esplosione di colori grazie al lavoro incredibile fatto dagli ottoni per colorare la trama tessuta dalle percussioni.

La cosa davvero particolare di questo cocktail è che i musicisti, pur venendo tutti da conservatori e contesti che i più sospettosi chiamerebbero inquadrati, riescono a mantenere fino alla fine una attitudine liberatoria e senza schemi: un orizzonte sonoro così ampio da potersi permettere anche citazioni spagnoleggianti in Se Hace Camino e chiudere il cerchio con la sognante Layers.

I Red Baraat continuano a pubblicare musica e, presumibilmente, continueranno a suonare il loro stranissimo crocevia musicale anche dopo la fine della pandemia. Nel 2018 è uscito il loro quarto album Sound the People e tutt’ora la loro musica continua a essere remixata e aggiornata con anche importanti collaborazioni, come una versione di Gaadi of truth uscita con Stewart Copeland, ex batterista dei Police. Una gemma sonora da scoprire per la varietà nell’improvvisazione e la bravura di chi suona all’interno del complesso, che ci dice che la musica e la cultura non si fermano nemmeno davanti alle barriere degli Stati. [Dario Onofrio, ecoinformazioni]

Potete ascoltare e acquistare l’album in digitale su Bandcamp cliccando qui.

I video nell’articolo sono presi dalla performance dei Red Baraat del 2015 presso gli studio di registrazione della KEXP, nota emittente di Seattle specializzata in musica alternative e indie. Potete anche vedere il concerto completo cliccando qui.

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