
Lavoro/ Magni e Rosati: basta sfruttamento, investire sulle persone
Nel tardo pomeriggio di giovedì 15 febbraio, la sala civica di Vighizzolo ha ospitato un incontro di Liberi e uguali, coordinato da Paolo Sinigaglia, a cui sono intervenuti Onorio Rosati, candidato Leu alla presidenza della Regione Lombardia alle elezioni del 4 marzo, Tino Magni, capolista di Leu al Senato plurinominale di Como, Lecco, Sondrio, e, nel dibattito, Giacomo Licata, segretario generale Cgil Como. Una cinquantina le persone presenti in sala per l’iniziativa, volta a chiarire le posizioni del candidato sul tema del lavoro, una delle questioni più critiche che il futuro presidente regionale, di chiunque si tratti, sarà chiamato ad affrontare.
Sono note le conseguenze deleterie della prolungata crisi economica sul mercato del lavoro italiano. Per Tino Magni le misure attuate dagli ultimi governi, e più nello specifico durante il quinquennio dell’uscente amministrazione Pd, sono state celebrate dai promotori per la creazione di nuovi posti di lavoro, che hanno frenato la recessione e restituito un segno positivo all’andamento del Pil nazionale.
Gli stessi provvedimenti, tuttavia, non hanno sanato tutte le criticità, anzi ne hanno addirittura aggravate alcune, innanzitutto il precariato: i 900 000 posti di lavoro creati dal Jobs Act sono infatti perlopiù a tempo determinato (e spesso breve), oltre che sottopagati: ciò mette a rischio soprattutto le categorie sociali già più fragili, quali i giovani, le donne e gli over 55. Il monte ore complessivo del lavoro, come sottolineato da Rosati, ha peraltro subito una contrazione in termini di ore di occupazione rispetto al periodo precedente il 2007; senza contare le questioni scottanti del lavoro nero o degli stage pagati poco o niente, troppo spesso offerti dalle imprese senza alcuna finalità d’assunzione, per minimizzare i costi del lavoro. «Si tratta – conclude Magni – di vero e proprio sfruttamento», che pregiudica non soltanto lo sviluppo economico del paese, ma anche e innanzitutto la tutela dei diritti di lavoratori e lavoratrici e un’equa distribuzione del reddito tra la popolazione.
Citata a ripetizione come traino dell’economia italiana – per la produttività, per la ricchezza e per il capitale umano – la Lombardia non è tuttavia esente dalle tendenze sopracitate. Le amministrazioni di centrodestra di Formigoni e Maroni hanno segnato un aumento del peso specifico della regione rispetto alla dimensione nazionale, ma anche rispetto a quella provinciale, assottigliando (o annullando) il divario tra il settore pubblico e quello privato nell’appalto e nell’erogazione di servizi. Leggi e provvedimenti finanziari volti a frenare il processo di delocalizzazione (e automazione) del lavoro – la cui conseguenza naturale è una contrazione dell’offerta locale di lavoro e della tutela dei diritti a esso collegati – hanno sortito scarsi effetti concreti. La produttività di quella che un tempo era tra le regioni leader a livello europeo va dunque scemando verso cifre più vicine a quelle mediamente più basse dell’area mediterranea. Prendendo a riferimento la propria esperienza nella IV Commissione regionale sulle attività produttive, Rosati avanza la necessità di rilanciare il ruolo del settore pubblico (con le dovute migliorie operative e tecnologiche) rispetto al privato: «Bisogna trovare una convergenza tra risorse del territorio e criticità imprenditoriali: Finlombarda [la società finanziaria regionale] può aiutare a creare un più agevole sistema di accesso al credito per le piccole e medie imprese». Vale un discorso analogo per quanto riguarda il capitale umano, ripristinando la piena tutela dei diritti di lavoratori e lavoratrici, siano essi assunti o in cerca di impiego. Unica in Italia, la Regione Lombardia mette a disposizione di disoccupati e inoccupati la “dote unica lavoro”, che dovrebbe – teoricamente – favorire il riassorbimento nel mercato lavorativo, ma che tende a dare maggiori garanzie ai soggetti di per sé meno svantaggiati. Il candidato presidente regionale di Leu si dice intenzionato ad andare incontro alle categorie svantaggiate, con l’estensione a livello regionale delle Agenzie formative di orientamento al lavoro (Afol), per ora operative solo nella Città metropolitana di Milano e nella provincia di Monza-Brianza (nel resto del territorio, un ruolo analogo è svolto da agenzie interinali private e internazionali).
Al problema di un lavoro precario, sottotutelato e sottopagato è direttamente collegata la questione dell’innalzamento dell’età pensionabile, che rallenta un ricambio del mercato del lavoro a scapito di giovani e dei lavoratori più avanti con gli anni che, a prestazione conclusa o interrotta, trovano gravi difficoltà a trovare un nuovo impiego e a garantirsi una pensione sufficiente: problema che assume proporzioni drammatiche con l’invecchiamento diffuso della popolazione italiana, mentre i giovani lavoratori più competenti tendono sempre più spesso, se in condizione di farlo, ad abbandonare il paese, Lombardia compresa.
Un altro aspetto preso in considerazione riguarda il terzo settore lombardo, che conta – come riferito da Marco Lorenzini – 1820 cooperative e 2800 fondazioni. Rosati conferma senz’altro il ruolo di tali realtà nell’economia e nell’innovazione della regione (e, più in generale, del paese). Come enti erogatori di servizi, ma anche come soggetti attivi (spesso pionieri) nella progettazione di un welfare nuovo e inclusivo, esse dovrebbero essere messe in grado di agire di concerto con gli enti locali e regionali, che dovrebbero abbandonare un atteggiamento autoreferenziale. Il candidato riconosce però la contrazione delle risorse a disposizione del terzo settore, a cui hanno contribuito l’aumento dell’Iva introdotto dalla legge di stabilità del 2016 (che ha comportato una perdita di 10 milioni per le cooperative sociali) e l’imposizione dell’Irap alle “imprese sociali” determinata dalla riforma del terzo settore.
All’intervento del candidato Onorio Rosati segue quello di Giacomo Licata, segretario generale della Cgil di Como, che entra nel merito nella specifica situazione del territorio comasco. Nella nostra provincia, la frammentarietà di un mercato del lavoro segnato prima dai voucher e poi dai “contratti a chiamata” è ancor più spiccata, dato che l’economia locale si basa essenzialmente sui servizi; mentre la crescita («peraltro molto inferiore a quella di altre economie europee», precisa Emilio Russo) è attualmente veicolata soprattutto dal settore metalmeccanico. Licata evidenzia inoltre un problema trasversale nella lettura analitica dei dati: «I “macrodati” sono resi noti, ma non se ne dà una spiegazione scomposta, che darebbe un quadro più preciso delle condizioni di vita dei lavoratori in una situazione diffusa di fragilità e precarietà». Situazione che, per Licata come per Rosati, contribuisce a spiegare l’ondata di movimenti politici (in senso lato e in senso stretto) inneggianti all’odio che, non a caso, trovano maggior consenso tra e categorie sociali più svantaggiate, alimentando la tristemente nota “guerra tra poveri”, contro cui tanto Leu quanto Cgil, Arci, Anpi e altre realtà hanno preso posizione, ma che dovrà trovare un antidoto efficace nella politica, legata a doppio filo all’aspetto educativo e formativo veicolato da scuola e lavoro.
Investire sulla formazione dei lavoratori come “capitale umano” significa anche consolidare la consapevolezza circa i diritti di tutti e di ciascuno. Si pone dunque la sfida di una legge per la rappresentanza sindacale, che per ora, riferisce il segretario generale Cgil Como, interessa tra il 30 e il 35 per cento dei contratti nazionali depositati presso il Cnel; unitamente al riconoscimento del precariato come specifica (e vasta) categoria lavorativa tutelata dal sindacato. Auspicando una convergenza tra le forze democratiche, Licata conclude l’intervento ricordando l’incontro con i candidati regionali di sinistra organizzato da Cgil a Varese per mercoledì 21 febbraio e la manifestazione antifascista e antirazzista del 24 febbraio a Roma. [Alida Franchi, ecoinformazioni]