12 dicembre 1969, tra testimonianze e memoria

All’Arci Corvetto di Milano il 12 dicembre si è tenuto il primo incontro della rassegna per ricordare la strage di piazza Fontana, causata da Ordine nuovo con la complicità di apparati dello stato, con la presentazione di Luigi Lusenti e Fabio Sottocornola dal titolo 12 dicembre 1969. La perdità dell’innocenza. Una serata di interventi basati sui ricordi e le testimonianze di «chi c’era e chi è venuto dopo», e sulla memoria di una vicenda che ha segnato l’Italia.

Nella serata di presentazione del libro di Luigi Lusenti e Fabio Sottocornola, edito da Calibano Editore, moderata dal direttore di Radio Lombardia Luca Levati, il primo a intervenire è stato Matteo Dendena, che in rappresentanza dell’Associazione delle vittime della strage di piazza Fontana ha ricordato il nonno Pietro, che morì il 12 dicembre 1969 in quella Banca Nazionale dell’Agricoltura dove si recava ogni venerdì pomeriggio. «Quel giorno è stata colpita l’Italia intera, non solo i familiari delle vittime e chiunque. È una storia che riguarda chiunque». Da un percorso di ricerca di giustizia a un percorso di memoria, per difendere la memoria storica di una strage fascista. «Portiamo avanti questo percorso per passare il testimone della memoria alle nuove generazioni», afferma Matteo riprendendo le parole della zia Francesca, che si è battuta per anni alla ricerca della verità. Memoria non come esercizio retorico, ma come impegno e consapevolezza costante dei valori civili per arrivare a fare i conti con la storia. «Per un percorso coeso tra istituzioni, società civile, associazioni e istituti scolastici».

Quanto al libro presentato, Luigi Lusenti nel suo intervento lo ha definito «una raccolta collettiva di esperienze vissute». Questo l’obiettivo principale, con l’idea che l’episodio non sia stato solo atto brutale e terribile ma qualcosa che ha aperto la strategia della tensione e che il paese ha sentito collettivamente anche negli anni successivi. «Abbiamo scelto molte persone diverse fra di loro, per orientamento politico, età ed esperienza». Persone che hanno sentito e sentono la ferita che è stata fatta al paese. Fabio Sottocornola ha raccontato quindi del lavoro di ricerca e dei ricordi delle persone intervistate, da cui è uscita una Milano molto personale. «Anche io, come Luigi, sono rimasto colpito dalla rabbia verso una giustizia che ha costretto i testimoni ad andare in trasferte assurde, con lo spostamento dei processi». Dalle testimonianze delle persone è emersa la percezione di «uno Stato che sicuramente era complice e colluso, ma alla fine ha dato una risposta». Un libro dall’impostazione chiara, dice, «racconti in prima persona con un io narrante». Un altro libro su piazza Fontana, dice Sottocornola, seguendo la necessità di fare i conti con questi fatti e la difficoltà nel chiarirli che porta a raccontarli nuovamente, con nuovi punti di vista. Liberare la coscienza, superare il dolore e ritrovare un senso dove non c’è, con il bisogno della cura delle domande.

«La giustizia ha portato a un indirizzo chiaro di eversione di estrema destra con coperture dello stato, per condizionare opinione pubblica verso svolta totalitaria e anti-democratica per contenere conflitti sociali», ha affermato nell’intervento successivo Gabriele Albertini, già sindaco di Milano. «Una svolta che, grazie anche alla società civile, alla fine non c’è stata. Tutti i testimoni presenti nel libro, anche quelli toccati più da vicino, si sono riconosciuti nel fatto che comunque a 50 anni di distanza il paese si è ritrovato con qualche difficoltà, a impedire la svolta autoritaria ricercata dalla strategia della tensione». Un paese che, secondo Albertini, non ha alterato la sua condizione di stato libero e democratico che rispetta i diritti anche durante gli anni di Piombo, da lui vissuti in prima persona.

Ferruccio de Bortoli nel suo intervento ha definito il libro come un contributo alla condivisione della memoria su un evento che è stato un punto di svolta. Come dice il titolo, una perdita d’innocenza. «C’è prescrizione nella legge e prescrizione nella mente e se non c’è memoria condivisa le vittime muoiono una seconda volta». Ha detto, ribadendo l’importanza di una manutenzione della memoria, che deve essere sincera. «Ma mi chiedo anche quante persone sanno e non hanno ancora parlato?», ha affermato, ricordando le dichiarazioni di Gaetano Pecorella, avvocato di Delfo Zorzi (uno degli indagati per la strage), in merito a una busta in cui lo stesso Pecorella dice di aver scritto la verità scoperta proprio grazie a Zorzi e finora ancora nascosta a tutela dell’assistito. I periodi storici non possono chiusi nell’oblio di comodo e in una memoria labile.

Susanna Camusso, ha portato la prospettiva di una lunga carriera da sindacalista – ora parlamentare del Pd. «Il lavoro del libro mi ha proposto la domanda della correlazione tra le scelte che ho fatto nella vita e quanto accaduto il 12 dicembre 1969», ha affermato Camusso. «Questa relazione c’era perché la consapevolezza della natura di stato della strage ha portato a voler prendere parte attiva nella politica per rinnegare quel metodo e ricostruire una ragione per affrontare le diseguaglianze». Uno dei problemi, dice Camusso, è che il disconoscere l’ideologia come fonte di valori e principi ha indebolito la partecipazione e di conseguenza la costruzione di memoria. «Siamo un paese che sembra sempre sull’orlo del baratro ma poi se la cava sempre, tuttavia serve qualcosa di più di questo. Perdita dell’innocenza vuol dire che non si era abbastanza adulti e maturi come paese, e che ancora serve fare dei passi per affermare la democrazia e la sua compiutezza».

Presente in sala, il magistrato Guido Salvini, protagonista della riapertura del processo e della ricostruzione di un’ampia parte di verità, è intervenuto in chiusura per sottolineare e rivendicare il lavoro svolto. Ma nella testimonianza ha anche ricordato quanto in quei giorni di studente del Liceo Manzoni nel 1969 cambiò tutto nelle loro vite, come uno shock. «Da un liceo borghese decidemmo addirittura di andare ai funerali di Giuseppe Pinelli in una zona che non frequentavamo». Raccontando delle indagini ha citato colleghi della procura a causa dei quali non si è arrivati completamente a una verità a cui si era vicini. La sentenza ha dichiarato la paternità dell’attentato legata a Ordine nuovo del Veneto, ma restano ancora ombre. «Oggi voglio ricordare le 17 vittime, Giuseppe Pinelli, l’agente di polizia Antonio Annarumma e Saverio Saltarelli nel 1970 caricato dalla polizia in modo ingiustificato, morto colpito da un candelotto al petto. Un operaio della polizia il primo, e uno studente e lavoratore di sinistra il secondo». Parlando della manifestazione a piazza Fontana del pomeriggio, Salvini ha affermato l’importanza di riconoscere un altro tipo di fascismo odierno, relativo a quanto accade nella repressione delle proteste in Iran e nelle atrocità della guerra Ucraina.

Il 12 dicembre è stata una serata che ha parlato di piazza Fontana, di testimonianza e memoria e della necessità di trasmettere non solo le notizia ma anche le impressioni legate al momento di inizio della strategia della tensione e degli anni delle stragi. Alle impressioni, alla memoria delle vittime dell’attentato, di feriti e familiari si aggiunge il rammarico per una verità a lungo taciuta e mai del tutto definita, per l’omicidio di stato di Giuseppe Pinelli e l’ingiustizia subita da Pietro Valpreda. [Daniele Molteni, ecoinformazioni]

L’album delle foto del 12 e13 dicembre 2022/ Milano/ Quando perdemmo la nostra innocenza di Gianpaolo Rosso, ecoinformazioni

Guarda i video di Michela Borghi, ecoinformazioni, degli interventi.

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