Fuocoammare non interessa Como

[Video Beatriz Travieso Pérez, ecoinformazioni]

Nella serata di giovedì 26 ottobre allo Spazio Gloria dell’Arci è stato proiettato Fuocoammare, di Gianfranco Rosi. La proiezione conclude la rassegna Diritti umani Oltre lo sguardo organizzata dalla Scuola diritti umani Gabriele Moreno Locatelli, CcP, Arci, Arcigay e Como senza frontiere. Nonostante un ventaglio così ampio di organizzatori della proiezione del docufilm, introdotta da Fabio Cani, portavoce di Como senza frontiere, hanno goduto poche persone. Un peccato. Purtroppo, un’altra prova della sostanziale inesistenza, a Como, di una platea davvero interessata ai diritti delle persone migranti. Presto on line il video dell’intervento di Cani e le foto di Beatriz Travieso Pérez.

Fuocoammare racconta il dramma delle rotte migratorie, del cimitero Mediterraneo e della fortezza-Europa attraverso una serie di sguardi. Primo tra tutti, quello del dodicenne Samuele, ragazzino con un “occhio pigro” che vive una Lampedusa fatta di giochi con gli amici e prime esperienze di mare accompagnato da un parente marinaio. Anche gli occhi di Pietro Bartolo, medico, mostrano al pubblico la realtà migratoria, una realtà fatta di sofferenza nei barconi e sulle rotte desertiche verso la Libia, con i suoi lager mortali, ma anche di speranza delle persone che ce la fanno, soprattutto giovani adulti, donne e bambini che cercano di ricostruire la propria vita in terra straniera.
Mentre in sottofondo suona Radio Delta, l’emittente locale che trasmette musica su richiesta, la quotidianità isolana è scandita dai messaggi di soccorso ricevuti dalle forze dell’ordine che monitorano le acque costiere con l’intento, almeno finché era in corso l’operazione di salvataggio Mare Nostrum, di trarre in salvo più persone possibile.

[Un fotogramma del film. Essendo la pellicola del 2016, i numeri sono molto al ribasso].

La realtà ci dice però che Mare Nostrum è durata solo un anno, dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014, e che la sua conclusione ha lasciato spazio a Frontex, sistema di controllo costiero rivolto più a servizi di guardia che a scopi umanitari.

Come ha sottolineato Fabio Cani l’operazione di soccorso in mare, risposta immediata alla strage di Lampedusa, è stata revocata per via dei costi eccessivi che comportava: una decisione paradossale se si paragonano i 9 milioni mensili che essa richiedeva e li si confronta con le ingenti spese belliche che, di governo in governo, vengono approvate ed aumentate per finanziare (anche) quegli stessi conflitti da cui le persone migranti sono costrette a fuggire. Il modello securitario di Frontex, per contro, ha portato ad un inasprimento della prassi in mare, cosa che a catena ha portato all’attivazione da parte delle Ong, alla loro criminalizzazione e a quella burocratizzazione e disumanizzazione della questione migratoria di cui la politica europea di oggi testimonia quotidianamente.
Fuocoammare è un docu-film sugli sbarchi, ma il progetto migratorio ed i suoi ostacoli non finiscono sull’isola. È recente la presentazione del dossier Al di là di quella porta, lungo documento presentato da Naga a Milano che racconta la disumanizzazione sistematica delle persone recluse nei Cpr, così come quella di Trattenuti, pubblicazione congiunta di ActionAid e dell’università di Bari che mette in luce come, ai fini del respingimento, quei centri di detenzione siano di fatto inutili. Dopo essere scampati alla morte tra deserto, Libia e Mediterraneo, le persone migranti devono subire anche la sistematica violazione dei propri diritti, oltre ad una prigionia che ritarda ulteriormente la realizzazione del loro progetto esistenziale.

Il dramma dei migranti è una realtà ancora effettiva e quotidiana, cosa che rende il concetto di ricordo non in linea con ciò che mostra il presente. Non per questo un testo documentario come quello di Rosi è inattuale, data la lucida umanità con cui racconta il vissuto di un’isola di transizione, mostrando l’intreccio tra la popolazione locale e quella transitante. Una coazione a ripetere, questa, ormai decennale e che le politiche di sbarramento dell’Occidente, seppur barbare e respingenti, non sembrano in nessun modo in grado di influenzare se non nei termini dell’aumento di sofferenza propinata a chi cerca di tornare a vivere fuggendo da paesi dove l’unica opzione rimasta pare la morte. [Pietro Caresana, ecoinformazioni]

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