Restiamo umani: racconti e speranze di Pace

Nell’aula studio Edith Stein della Basilica di Sant’Abbondio il 29 ottobre si è tenuto l’incontro promosso dal collettivo FuoriFuoco per riflettere e restituire la complessità relativa ai recenti fatti in Medio Oriente. Restiamo umaniLa Palestina ieri e oggi. Una storia disinformata è stato ricco di interventi e di contenuti: storici, contemporanei, poetici e musicali. Un’occasione che ha visto raccogliersi circa 150 persone nel richiamo a restare umani per la giustizia e per la Pace, con un pensiero alle vittime civili senza gerarchie.

L’incontro, già in programmazione prima della drammatica situazione di attualità, ha assunto un significato ancora più profondo per i fatti delle ultime settimane che hanno riportato lo sguardo del mainstream ai territori nella sponda di Sud-est del Mediterraneo. I bombardamenti che continuano, il conflitto tra Hamas e Israele entrato in una nuova fase e la crisi umanitaria con gli ostaggi ancora prigionieri e le vittime civili palestinesi che aumentano giorno dopo giorno in una punizione collettiva guidata dalla rabbia del governo di Netanyahu.

A fronte di un dolore così grande, la speranza deve diventare più grande, ha affermato don Michele Pitino nei saluti iniziali. Una speranza di pace e di giustizia che in quei territori manca da sempre. Per evidenziare questo, Elena Colonna, giornalista, ha illustrato la storia di quei territori a partire da inizio Novecento con il progressivo deteriorarsi dal 1948 delle relazioni tra Israele e le autorità palestinesi fino ai giorni nostri, con i due grandi traumi dell’Olocausto e della nakba che ricordano le sofferenze dei due popoli nell’informazione contemporanea. E proprio sul tema dell’informazione è stato posto l’accento, in una riflessione sul modo in cui viene veicolata, sui due pesi e due misure dei media occidentali che raccontano spesso come simili alla loro audience gli israeliani e come altro i palestinesi. E infatti, spesso leggiamo che gli israeliani vengono uccisi, mentre i palestinesi muoiono. Un’empatia selettiva che già si è vista e si continua a vedere quando si affronta il tema delle migrazioni e dei rifugiati.

Oltre la contingenza, Maria Colonna ha sottolineato l’importanza delle immagini nel descrivere le condizioni e le situazioni quotidiane, citando l’articolo pubblicato insieme a Giulia Tringali su Altreconomia dal titolo Il ritorno alla terra dei giovani palestinesi. Con uno sguardo aggiuntivo rispetto a quello che si posa solo sulle catastrofi che diventano stereotipi per descrivere i territori lontani nella ricerca del feticcio della distruzione, si è parlato di resistenza ecologica dei giovani palestinesi e attivismo nonviolento. Temi e persone che sono spesso escluse dalla narrazione dominante alla ricerca del male assoluto o della vittima perfetta, ma che sottolineano come ci siano individui e comunità che si battono per un futuro migliore lontano dalle armi con la forza della volontà. Come gli attivisti e gli agricoltori che promuovono un modello di sviluppo alternativo al cemento dell’occupazione, recuperando pratiche tradizionali.

In questi processi che pensano alla Pace si inserisce anche il lavoro di Maria di Pietro e di Assopace Palestina, che ha evidenziato come Israele non abbia avuto nella storia recente l’obiettivo di riconoscere lo stato di Palestina, per timore che ciò porti il governo davanti alla Corte Penale Internazionale per i crimini commessi negli anni. Parlando della condizione dei palestinesi ha ricordato i circa 5.000 detenuti, molti dei quali bambini.

Il momento più intimo ed emozionante è stato quello della testimonianza di Egidia Beretta, madre del giornalista e attivista Vittorio Arrigoni, che ha lottato con l’International Solidarity Movement nei territori palestinesi e a Gaza per la giustizia e la Pace. Le lettere e le memorie di Vittorio Arrigoni, lette dalla voce di Egidia Beretta, sono state manifestazione di quanto non sia cambiato molto in tutti questi anni. Una spirale di violenza dove i civili pagano le conseguenze, nelle violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario.

Al richiamo della Pace la città di Como ha risposto con una presenza numerosa oltre divisioni manichee. Oltre le narrazioni che vorrebbero una sola parte civilizzata nel conflitto, Israele, che esercita un diritto di autodifesa. Così si è potuto parlare di occupazione, delle radici del conflitto, delle storie di resistenza palestinese e del lavoro di Pace di chi segue le orme di Vittorio Arrigoni. Ma anche della necessità di non disumanizzare l’altro.

Il merito di questa serata è stato quello di portare diversi spunti su cui riflettere. Immagini, video e anche musica con il gruppo Tiregalereilamiatesta. Elementi che anno provato a evidenziare la complessità della situazione coinvolgendo in una riflessione circa 150 persone. Un’ampia affluenza, a dimostrazione di quanto sia urgente e necessario affrontare e discutere di queste questioni lontano da discorsi semplicistici e dalla censura del pensiero conformista. Per chiedere un cessate il fuoco e la costruzione di percorsi di Pace, in un momento in cui assistiamo a violenze indiscriminate su civili e discorsi – e azioni – vicini alla pulizia etnica. Un incontro che ha sottolineato l’importanza di pensare alle vite senza gerarchie e gridare a gran voce di restare umani. [Daniele Molteni, ecoinformazioni, foto di Fabio Cani e Pietro Caresana, eoinformazioni]

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