San Luca a Cantù

Non si tratta di fare il controcanto alle notizie di cronaca. Eppure il contorno dell’ennesimo blitz contro la ‘ndrangheta avvenuto dalle nostre parti qualche citazione lo merita. Cominciamo dai titoli: «Gli affari della ‘ndrangheta a Cantù. Controllava ‘il cuore’ della città». «Le mani della ‘ndrangheta su Cantù. Dettava legge in piazza Garibaldi»

. Tre arrestati per “associazione mafiosa ed estorsione aggravata”; cinque per “estorsione aggravata dal metodo mafioso”: tutti residenti tra Cermenate e Cantù. Un territorio, scrive la Direzione Antimafia di Milano, aggredito per affermare il potere di una famiglia mafiosa su un’altra che lo controlla “da sempre” (sic). Da qui gli «episodi di violenza posti in essere con tracotante audacia in pieno centro a volto scoperto con la finalità di affermare sul territorio la presenza di un sodalizio altrettanto prepotente e sopraffattore con il conseguente assoggettamento (sic) della popolazione».

Le parole sono pietre e colpisce l’uso dell’imperfetto, a indicare la reiterazione delle azioni criminali e il filo rosso che le collega nel disegno di imporre un potere mafioso. Viene spontaneo domandarsi: e la popolazione oggetto e vittima di quella escalation, dov’era nel frattempo? Come (non) hanno reagito le agenzie, le voci della società civile; quale livello di attenzione e di iniziativa (non) hanno attivato le istituzioni locali? E ha qualche fondamento l’espressione “omertà” che compare nelle carte della Dda?

Chi parla oggi di un brusco risveglio,vedendosi costretto a sparare titoli cubitali sulla presenza della ‘ndrangheta nelle nostre plaghe, dovrebbe forse interrogarsi sulla propria incapacità di interpretare i sintomi di una pressione, presente da tempo e tutt’altro che occulta, del tentativo di “fare San Luca… al nord”. Se si sfogliano gli archivi dei giornali, se si fa una rapida ricerca sui social, non vi è nulla che assomigli a una presa di coscienza, a una seria campagna di informazione. Semplice distrazione rispetto alla cronaca ordinaria di una Brianza virtuosa e tutt’al più alle prese con i pasticci dei palazzetti, le traversie di una società di basket, le grane di un sindaco zavorrato dalle pompe funebri di famiglia, o forse cecità di fronte alla trama dei poteri reali che si manifestano attorno al teatrino della politica e al colore locale. Resistenza, questo è certo,  a comprendere fino in fondo come “la linea della palma” di cui parlava Leonardo Sciascia si sia estesa da tempo alle nostre latitudini, o come la profezia di don Luigi Sturzo (anno 1900), ricordata in un bell’editoriale di “Avvenire”, si sia realizzata da tempo. Un fatto culturale, dunque, non una semplice  svista, che forse ha la sua causa nelle chiavi di lettura piuttosto convenzionali a cui siamo stati abituati in questi anni.

Non ne esce meglio la politica. Anzi. Può darsi che abbiamo seguito troppo distrattamente la recente campagna elettorale di Cantù, ma abbiamo l’impressione che delle infiltrazioni della ‘ndrangheta non abbia parlato nessuno. Non i seguaci dell’ex sindaco Bizzozero, che si era scagliato contro il sud con atteggiamenti invero più macchiettistici che razzisti, rimuovendo il cattivo sud che sparava sulle piazze della città da lui governata. Non il Pd, che, a Cantù più che altrove, non si è mai ripreso dallo shock della batosta del referendum e aspetta il ritorno di Renzi come un tempo facevano quelli che evocavano l’avvento dei cosacchi (“addavenì Baffone”). Non le destre, egemonizzate, qui come nel capoluogo, da una Lega concentrata a prendersela con rifugiati, islamici e mendicanti ma ormai priva dell’insediamento popolare dell’era bossiana.

Ancora oggi, le reazioni sono inadeguate, imbarazzate, sterili. Il sindaco di Cantù ripete timide parole di circostanza. Forza Italia tace. Consapevole, forse, che l’arresto del “suo” sindaco della vicina Seregno non è che la punta dell’iceberg di una logica – forse di un sistema – di potere largamente praticata, e timorosa del peggio che potrebbe aspettarla. Non è certo privo di significato che l’inchiesta in corso abbia lambito Mario Mantovani, già vice di Roberto Formigoni e ancora oggi consigliere regionale. Uno che, dalle intercettazioni, e nella percezione diffusa del suo ruolo, appare come l’architetto di una rete di relazioni opaca, un “padreterno” – lo ammette qualcuno degli arrestati – in grado di costruire le fortune elettorali dei cacicchi brianzoli. Per non parlare delle ombre che l’inchiesta proietta su politiche urbanistiche, autorizzazioni a cliniche private, nomine di primari ospedalieri.

C’è un problema, grande come una casa, che riguarda la libertà dei cittadini e degli imprenditori -, angariati dai soprusi delle mafie,la democrazia, alterata dall’influenza di quei poteri, le regole del buon governo e dell’imparzialità della pubblica amministrazione, sistematicamente violate. Ce ne sarebbe abbastanza per alzare le antenne e per capire che la bonifica del territorio, oltre che dalle azioni di polizia e magistratura, richiederebbe un salto di qualità nel sistema dell’informazione e nelle risposte di una politica oggi troppo debole e frastornata quando non collusa. [Emilio Russo per ecoinformazioni]

1 thought on “San Luca a Cantù

  1. Articolo condivisibile e necessario (dobbiamo pur fare sentire la nostra voce) Non ho gradito soltanto l’accenno a “baffone” sia per l’origine romanesca e non brianzola dell’invocazione, sia per il significato derisorio verso i comunisti di quei tempi.

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