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Rifiutiamoci!

«Zero rifiuti zero plastica» sembra un miraggio, uno slogan in grado di infiammare gli animi più ecologisti, eppure è un limite tangibile, reale, possibile. Rossano Ercolini ed il Circolo ambiente Ilaria Alpi, nel corso di una serata che ha visto il vulcanico fondatore di Zero Waste (e autore del libro Rifiuti zero) dialogare vivacemente tanto con Roberto Fumagalli che con un pubblico attivo e ricettivo, provano a riportare sul piano di una realtà sempre più stringente (eppure lontanissima dalla comunicazione generalista di media e politiche attuali) la necessità di una presa in carico del problema della produzione dei rifiuti. Nell’ambito del progetto Brianza senza plastica, del quale ecoinformazioni è media partner, volto a sensibilizzare ad ogni livello cittadinanza ed istituzioni, si è provato, nel corso della serata, a dare suggerimenti creando domande, spumeggianti provocazioni e nuove idee di economia domestica.

Se si prende come esempio la proporzione ambiente : salute = rifiuti : malattia, in che modo si può prevenire quest’ultima? Non producendo rifiuti? È la domanda che dà il via alla serata e alla quale Rossano Ercolini risponde in maniera quasi paradossale: i rifiuti non sono riducibili, in quanto propri dell’umanità. È un problema del quale si può solo prendersene cura, cercando di mitigarne l’impatto sulla biosfera. È quindi il singolo che deve provare a scegliere di acquistare materiali e prodotti a basso impatto ambientale, districandosi dalla selva di imballaggi e «confezionamenti superflui» (così definiti quelli impiegati per le consegne a domicilio nell’e-commerce), immettendo i propri scarti nei corretti «flussi di materiali» in modo da rendere possibile una raccolta differenziata efficiente – come a Capannori, dove Zero Waste Italia ha sede. Anche l’umido, se conferito nel compost casalingo o delle isole ecologiche, insieme con il rinverdimento e la ripopolazione degli alberi nelle aree comuni alla società hanno la propria parte nella riduzione della desertificazione a più latitudini (dalla Guinea all’Etiopia, passando per le nuove sperimentazioni nella produzione di biometano).
Al contrario di quello che si potrebbe pensare, secondo i dati Ispra elaborati dall’associazione, il 2020 è stato un anno particolare che ha visto diminuire i rifiuti tra il 5 e il 10%. Effetto della pandemia, del confinamento domestico e della diminuzione della produzione: l’utilizzo oramai quotidiano delle mascherine e altri presidi sanitari, o l’aumento delle confezioni legate all’asporto dei cibi risultano quindi marginali, pur portando alla luce una sorta di cortocircuito generato dalla necessità sempre più stringente di preservare salute e sicurezza (dei cibi e dei consumatori, in questo caso) e la forse più pressante urgenza di invertire una tendenza tutta umana a corrodere il proprio habitat divorandone qualsiasi risorsa.

Eppure i rifiuti persistono: inceneriti – soluzione non più ammissibile sul lungo periodo, perché i termoconvertitori tanto amati in Lombardia oltre a inquinare pesantemente non rendono nemmeno a livello energetico, per quanto possibile differenziati, in alcuni casi abbandonati o nascosti. Certo, «tutte e dieci le dita producono rifiuti», ma è con la manualità e l’inventiva che si può trasformare parte di questi scarti in materiali o oggetti di nuova vita.
Una seconda nuova vita delle cose è possibile ed è quello che nell’incontro ha generato più entusiasmo anche da parte del pubblico: riuso, riparazione e mercatini dell’usato stimolano un senso comune di civiltà in grado di fare da ponte tra il fine vita di un oggetto e la sua «resurrezione», facendo tornare di moda l’usato e il riutilizzo contro l’obsolescenza programmata propria dell’odierno consumismo. Però, mentre tutto ciò è ampiamente favorito in altri paesi dell’Unione Europea (vedasi la Svezia), la cultura dell’usa e getta continua imperterrita altrove. Si tratta di una questione anche culturale: c’è chi dal pubblico auspica l’insegnamento del riutilizzo e dell’autoriparazione a scuola, chi discute col salumiere per poter utilizzare il proprio contenitore (metodo sperimentale in atto a Varese), chi costruisce una lampada partendo da un alimentatore per pc.

La domanda più frequente è «cosa posso fare per migliorare?». Ma bisognerebbe anche chiedersi cosa possono fare le pubbliche amministrazioni e in generale i governi. La plastic tax (che entrerà in vigore a livello europeo il prossimo 3 luglio) è una soluzione? Secondo Ercolini, parlare di tassa è un forte disincentivo: «bisognerebbe parlare di tassa contro lo spreco o incentivo per la riconversione». Siamo sicuri che tutto questo possa bastare, però? L’aziendalizzazione del green rischia di trasformarsi semplicemente in una moda e non in un modus operandi virtuoso da parte dei governi e degli imprenditori. Sicuramente agire in prima persona per cercare di mitigare l’impatto dei propri rifiuti è un passo avanti, ma riteniamo che ciò sia insufficiente senza una politica davvero ambientalista: «chi parla di sostenibilità deve lavorare per la sostenibilità, la responsabilità pubblica è macroscopica rispetto a quanto può fare il singolo cittadino». È però il nostro stesso modello di esistenza a essere contro l’ambiente: compra usa e getta via non può più essere il paradigma che media, pubblicità e tendenze impongono. Anche perché abbiamo tutti ben presenti le immagini delle discariche nei paesi in via di sviluppo, che dal “civilizzato” occidente hanno imparato il modello consumistico finendo per affogare – a volte, letteralmente – nel pattume.
Come possiamo pensare di dare il buon esempio? Corteggiando le aziende per chiedergli di utilizzare contenitori in cartone contro quelli di plastica? Creando reti associative forti nella progettazione del riuso (come i «repair cafè» sempre più diffusi?), nella sensibilizzazione della cittadinanza ad una raccolta differenziata cosciente ed efficiente?
L’unica soluzione davvero forte, così impattante da poter invertire una rotta altrimenti disastrosa è una sola, come affermato in un deciso quanto lapidario intervento: smettere di produrre. [Sara Sostini e Dario Onofrio, ecoinformazioni]

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