Sotto lo stesso cielo, sopra la stessa terra

Otto marzo di molte rivendicazioni e poche mimose (d’altra parte il clima in feroce rivoluzione verso l’umanità distratta ha garantito una fioritura precoce un mese fa, sguarnendo – nella tragedia, per fortuna, in questo caso – le mani di chi “festeggia il gentil sesso” per ventiquattro ore appena, salvo poi riprendere il solito arrogante, indifferente e vessatorio trantran) anche a Como.
Forse proprio la carenza di omaggi floreali può essere spunto di riflessione sul senso di una giornata come quella dell’8 marzo, nata negli scioperi e nella volontà fiorita in molte e molti di cambiare il mondo fino a renderlo abitabile per tutte, tutti, tuttu. Il mondo è cambiato, ma al posto di un giardino di pace e diritti assomiglia sempre più a un deserto di coscienze.

foto di Claudio Fontana

Per fermare il deserto non servono armi “di distrazione di massa”, e le uniche bombe che vogliamo lanciare lanciare sono quelle di semi dell’ecopacifismo combattente; bisogna «rivoltare ogni strato della società finchè non avremo portato alla luce quel terreno produttivo per un mondo democratico, paritario, non sessista e libero da soprusi». Questo il messaggio portato in piazza dalla rete Intrecciat3, che ha reclamato ancora una volta lo spazio di piazza San Fedele, prima con la presenza delle Donne in nero, poi con la performance di Nonunadimeno, Como Pride e SIFarumore.

foto di Fabio Cani

Ed è proprio il mettere al centro delle riflessioni e delle azioni il proprio corpo come strumento di lotta nonviolenta e messaggio femminista di pace il significato che si legge nelle mani scritte e nelle immagini portate sul ciottolato dalle Donne in nero, facendone, insieme al proprio silenzio, parola squillante, gridando senza voce ma con la propria presenza quel (purtroppo) sempre attuale «Fuori la guerra dalla storia» e rifiutando la bellicosità del sistema patriarcale in ogni aspetto della vita.

foto di Fabio Cani
foto di Fabio Cani
foto di Fabio Cani

Ancora corpi dinamici e attivi, nelle percussioni corali di SiFarumore e nel percorso a ostacoli della performance di Nonunadimeno e Como Pride, che dipinge con passi e parole la strada lavorativa, dissestata e pericolante, delle donne: dalla disparità salariale alle difficoltà (economiche, di rapporto professionale e di cura) legate a coloro che decidono di essere madri, dalla negligente incuria cui viene abbandonato/a chi è caregiver (per scelta, per necessità) o semplicemente a causa dell’età non riesce ad essere autosufficiente, fino alle difficoltà per chi effettua percorsi di transizione nell’essere considerato/a al di fuori della medicalizzazione o ancora con pregiudizi nella valutazione delle proprie attitudini occupazionali.
Gli ostacoli sparpagliati per la piazza sono impossibili da non vedere e altrettanto impossibili da evitare, eppure nelle voci che si alzano all’unisono si percepisce la volontà di non farsi zavorrare dalle difficoltà, quanto piuttosto di far leva su di queste per mettere a fuoco con più nitidezza e consapevolezza le proprie rivendicazioni transfemministe e perseguirle con determinazione, rifiutando le logiche oppressive e discriminatorie che come una morsa d’acciaio si stringono sempre di più attorno alle donne.

foto di Fabio Cani

Perchè il problema non è solo il lavoro, ma una lenta e inesorabile corrosione dei diritti a trecentosessanta gradi, come ricorda la scrittrice Simone de Beauvuoir: «Non dimenticate mai che sarà sufficiente una crisi politica, economica o religiosa perché i diritti delle donne siano rimessi in discussione. Questi diritti non sono mai acquisiti. Dovrete restare vigili durante tutto il corso della vostra vita».
Mettere al centro della Giornata internazionale della donna i corpi e non solo le idee è anche efficace nell’affermare che i diritti delle donne sono i diritti per tutte, tutti, tuttu e che averne cura e vigilare su di essi è lo strumento necessario per rendere davvero il mondo abitabile per chiunque.

E per esistere e resistere ad un mondo sempre più ingiusto e spietato, l’unico modo è avvicinarsi mettendo in comune costruttivamente le differenze e fare rete. «Annodate nei capelli, abbracciate negli ideali verso un orizzonte comune»: appunto, Intrecciat3. In Italia, in Iran, in Afghanistan, con le donne curde, siriane, africane, ucraine, russe e ovunque nel mondo.
E come parte di questa rete, a condividere la piazza e le idee ci sono il ricordo e la memoria storica del Centro studi Schiavi di Hiter come terreno sempre fertile su cui germogliare, la volontà di ritrovare la forza per continuare a lottare ogni giorno negli esempi luminosi di donne ovunque nel mondo, come proposto da Arci, la condivisione di Cgil, Cisl e Uil di una necessità mai sopita di continuare incessantemente a lavorare per migliorare e ricostruire diritti civili, servizi e lavoro, l’integrazione reciproca di Como con la Scuola di italiano per donne straniere, l’ideazione di spazi a misura di tuttu auspicata a lungo e ora condivisa anche da Como Pride e Uds. «Sopra la stessa terra, sotto lo stesso cielo, convinte che la rivoluzione della cura sia l’unico antidoto alla distruzione del pianeta e alla crescita delle disuguaglianze». [Sara Sostini, ecoinformazioni; foto di Fabio Cani e Claudio Fontana, ecoinformazioni; video slideshow di Alle Bonicalzi]

Guarda il video slideshow con le foto di Alle Bonicalzi della manifestazione:

Guarda l’album completo delle foto di Claudio Fontana.

Qui la diretta facebook.

Guarda i video di Dario Onofrio:

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: